<span>Progetto cinema, la comunicazione per immagini</span>

Progetto cinema, la comunicazione per immagini

la parola che s’invera nella forma

“Scrivere per immagini, immaginare per scrivere. È un binomio non solubile quello che anima l’audiovisivo, un sodalizio capace di sconfessare le apparenze, e perfino la tradizione: scripta volant. L’atterraggio sullo schermo invera la parola, senza perderla: eidos, forma, questi sono i film, le serie e le altre declinazioni cinemat(ograf)iche. Forme – sperabilmente – durevoli, dove fissare un segno linguistico: la scrittura per immagini e suoni. Una creazione artistica, una realizzazione industriale, una fruizione – sperabilmente – collettiva: dalla caméra-stylo di Alexandre Astruc allo streaming in camer(ett)a di oggi, molto è cambiato, ma – sperabilmente – nulla è perduto.

Scrivere per immagini e, dunque, leggere per immagini. Disciplina ontologica, pratica antropologica, quotidianamente, meglio, istantaneamente esperita, ma poco studiata: come leggiamo le immagini in cui viviamo – e sovente sopravviviamo – e quale alfabetizzazione ci è richiesta? Si può scrivere qualcosa che non venga letto? Si può leggere qualcosa che non venga scritto? Ed ecco irrompere – e dirompere – la dimensione popolare dell’audiovisivo, la sua necessità di pubblico, quindi l’imperativo di “farsi vedere”, l’urgenza di “essere visto”.

Ma non è un rapporto a senso – la vista – unico. Ci sono convergenze parallele iscritte, ovvero sovrascritte, sullo schermo tra il film che si proietta e lo spettatore che proietta sé stesso, sospendendo l’incredulità e, ancor prima, l’alterità. Una vita da film e il film della vita, si dice, tracce scoperte di un’ambivalenza, ossia di una congruità tra opera e spettatore, realizzazione e visione, scrittura e lettura: il combinato disposto tra arte e vita. Taobuk nella sua tredicesima edizione dedica all’audiovisivo uno spazio importante, nella consapevolezza che la testualità è (in) costante movimento, (in) sempiterna evoluzione, e che scrivere – su schermo come altrove – è vivere. I pluripremiati Marco Bellocchio, regista e sceneggiatore, e Francesca Calvelli, montatrice, consegnano a Taobuk una relazione che ha declinato sul proscenio nazionale e internazionale un’istanza autoriale all’unisono idiosincratica ed empatica.

Società e immagine, individualità e immaginario, da Buongiorno, notte a Esterno notte, da Vincere a Rapito, Bellocchio e Calvelli hanno posto un sigillo su visione e visionarietà. Attrice e quindi regista e sceneggiatrice, Valeria Golino porta davanti e dietro – Miele, Euforia e la prossima serie L’arte della gioia, tratta dal classico di Goliarda Sapienza – la macchina da presa i crismi di un’avventura sentimentale e intellettuale, un impeto professionale e poetico con pochi eguali nel panorama audiovisivo. Tutti e tre, Bellocchio, Calvelli e Golino, intingono le immagini nello stesso inchiostro: la libertà. O, meglio, le libertà”.

Così Federico Pontiggia, curatore di due masterclass dedicate al cinema e tenute dai succitati  tre protagonisti del cinema, che saranno premiati con i Taobuk Award.

In “Scrivere per immagini” il regista Marco Bellocchio e la montatrice Francesca Calvelli metteranno a confronto due professioni indispensabili per la costruzione di un film, nel quale la direzione e il montaggio delle immagini girate corrono su uno stesso binario, creando una magia che abbatte le barriere per accogliere la visione dello spettatore.
“Prendersi (del)le libertà” è la masterclass che vede protagonista Valeria Golino, attrice e regista poliedrica che prende spunto dal suo ultimo lavoro, “L’arte della Gioia“, tratto dall’omonimo libro di Goliarda Sapienza, per dare voce alla sua personale visione di libertà e a quella della poetessa che ha fatto della sua vita rivoluzionaria un inno di libertà.